L’ENGEA, come tutti la conosciamo, è da sempre l’ente per eccellenza che da anni promuove un turismo eco-sostenibile tramite le Guide Equestri Ambientali che con grande professionalità accompagnano a cavallo turisti di tutto il mondo attraverso le bellezze della natura italiana trasmettendo rispetto per l’ambiente ed amore per gli animali, supporta attività di volontariato con i Garibaldini Volontari a Cavallo, pronti a prestare il loro tempo e capacità a supporto delle necessità dell’ambiente e della società in diretta collaborazione con la Protezione Civile Nazionale, e si impegna nel promuovere le attività equestri a livello ludico amatoriale insieme a PGS consentendo a chiunque lo desideri, indipendentemente da ambizioni sportive, ceto sociale e mezzi a disposizione, di praticare equitazione e conoscere questo meraviglioso animale che è il cavallo.

Da un punto di vista socio-politico e soprattutto ambientale il 2019 è stato un anno, forse più di altri, molto complesso, dall’intensificarsi delle calamità naturali, alla continua estinzione di specie animali, incendi che hanno devastato forse irrimediabilmente le nostre bellissime foreste pluviali e l’incessante decadimento della barriera corallina. Abbiamo però assistito anche a qualche traguardo, dalle piccole cose come il non distribuire più cannucce di plastica per le bibite da chi prima ne distribuiva 3 o 4 a vassoio, al crescente desiderio di sensibilizzare l’umanità su ciò che sta succedendo alla nostra amata Terra e alla costante nascita di progetti innovativi per difenderla e proteggerla.

Il 2019 è stato anche un inno alla vita che ha visto a settembre nascere nel parco del Masai Mara in Kenya un meraviglioso e particolare equino, Mina ci cantava di lei già nel 1960, si chiama Tira, in onore del primo ranger che l’ha avvistata, e risponde inconfutabilmente alla domanda, ma le zebre sono bianche a strisce nere o nere a strisce bianche? . . . a voi trovare la risposta!

Un punto mi preme precisare sin da subito, è importante sottolineare NOSTRA in quanto che noi viviamo in Italia tra gli appennini o nel mezzo della macchia mediterranea, che viviamo in Polinesia a godere di una nuotata tra i colori della barriera corallina o che viviamo in Sud Africa a farci svegliare la mattina dal ruggito del re della savana, ogni ecosistema presente sulla Terra è il patrimonio di ogni essere vivente che la popola e in quanto tale deve interessare la comunità mondiale.

Quest’anno ENGEA mi dà l’opportunità di scrivere di un’esperienza che parla di natura, di formazione e anche di volontariato, in una forma un po’ particolare, sono i viaggi formativi (workshop) di volontariato naturalistico, mirati alla salvaguardia ed alla conservazione degli animali selvatici, con lo scopo di risolvere i conflitti uomo-animale, spesso alla base degli stermini di massa di determinate specie, lo sanno bene i lupi e gli orsi in Italia, i puma e le volpi della pampa in Sud America, i rinoceronti, gli elefanti ed i leoni in Africa, giusto per citarne alcuni. 

Organizzato dal tour operator Ecoway Travel e patrocinato da Trip To Rescue, ideatore dei workshop di volontariato naturalistico in Africa, il 21 novembre io ed altre 7 persone, sotto la guida del team leader Davide Sita, nonché fondatore del progetto Trip To Rescue, siamo partiti per la nostra prima esperienza formativa di volontariato naturalistico in Africa, direzione la riserva Limpopo-Lipadi nella regione di Tuli Block in Botswana per conoscere e contribuire al progetto Motse Limpopo Wildlife Volunteers.

Atterrati a Johannesburg, dopo poco più di nove ore di volo, siamo saliti sul pulmino che ci avrebbe accompagnato verso la riserva in altre sette ore di viaggio.

Mentre ancora attraversavamo la parte più “urbana” del paese, lungo la strada non ho potuto non notare i tanti recinti, forse di proprietà private o forse delle farm, in cui pascolavano piuttosto felicemente dei cavalli, dei bei cavalli!…di tutti gli animali non mi sarei aspettata che il primo avvistamento in Sud Africa sarebbero stati i cavalli, e la mente già andava via al pensiero di sellarne uno e partire alla scoperta della savana… Ma i safari a cavallo esistono?! E bene si, questa idea, utopistica all’inizio, ha trovato fondamento nello scoprire che nei paesi dell’Africa più sviluppati il turismo a cavallo esiste e si espande nelle savane, ove ovviamente la fauna locale lo rende fattibile, e questo è un argomento che speriamo di poter approfondire in futuro!

Ma tornando al nostro obbiettivo, per ammirare la savana nel suo massimo splendore ci dobbiamo sincerare di avere ancora qualcosa da ammirare, ed è così che tra i diversi scopi di questo progetto di volontariato, tra monitoraggio e salvaguardia di animali a rischio come i licaoni, controllo della vegetazione aliena ed iniziative di sostegno alle comunità locali, le nostre attività hanno interessato in particolare i problemi dati dai conflitti tra l’uomo e gli elefanti.

L’elefante, uno tra gli animali più minacciati dal bracconaggio alimentato dal commercio illegale dell’avorio (una forma differenziata della dentina che costituisce le zanne), è anche un animale che, a causa dell’innalzamento di barriere da parte degli agricoltori locali per evitare che entrino nelle zone coltivate o semplicemente per motivi legati alla sopravvivenza, ha modificato le proprie abitudini migratorie diventando così un “animale problematico”, dannoso e pericoloso. Purtroppo è un problema reale, che, analogamente a quanto accade in Italia, porta le comunità locali, già in difficoltà, a reagire nell’unico modo immediato che riescono a trovare per tutelare villaggi e coltivazioni… sparargli!

L’idea è trovare delle soluzioni a questo problema che siano eco-compatibili, che non comportino investimenti economici e con materiali facilmente reperibili. Tra le soluzioni messe al vaglio in questi ultimi anni, quelle che in questo progetto si stanno provando a mettere in pratica sono creare delle barriere della larghezza di circa 3 metri con sassi strettamente compattati tra loro così da creare una superficie spigolosa che fa desistere l’elefante dal volerci poggiare le zampe (parliamo di un animale di circa 6 tonnellate che cammina su delle zampe che terminano su di un sensibile cuscinetto di grasso) e la messa a punto di un repellente ad hoc che lo colpisce in uno dei suoi sensi maggiormente sviluppati, l’olfatto.

Negli ultimi anni, il Mid-Zambezi Elephant Project di Harare, in Zimbabwe, ha studiato vari sistemi per tenerli lontani, scoprendo che il migliore è probabilmente l’impiego del peperoncino; da questa scoperta sono state messe a punto delle vere e proprie ricette che mixano aglio, zenzero e peperoncino in quello che diventa, dopo una settimana di fermentazione, un composto liquido dall’odore pungente e persistente da spruzzare ove se ne necessiti per rinforzare l’azione delle barriere.

Questi rimedi non sono sicuramente la soluzione al problema ma aiutano e danno il tempo di pensare a soluzioni definitive che riportino questi animali a poter godere del loro habitat senza scontrarsi con l’uomo.

La magia di posti come questo è difficile da esprimere a parole, la savana nel suo insieme è un bioma straordinario, i suoi tramonti sembrano appartenere ad un sole che brilla solamente lì, colori che dipingono un paesaggio che ispira libertà, ecosistemi che ristabiliscono l’ordine delle cose e rimettono l’uomo al suo posto, averne cura, come di tutti gli altri biomi, è un dovere che l’essere umano ha nei confronti di se stesso e di tutti gli altri esseri viventi!

Tutti dovrebbero avere l’occasione di vedere tutto questo…. Chissà poi com’è la vista da cavallo!

Letizia Colbertaldo

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